#TWITTERATURA - "Serial Chicken": un giallo catalano a colpi di tweet. Intervista a Jordi Cervera.

Lo scrittore catalano Jordi Cervera 
in versione "pajarito" di Twitter
Qualche tempo fa #twitteratura è stato l'hashtag (trending topic) usato per parodiare titoli di opere letterarie farcendoli di espressioni proprie del gergo di Twitter. Scorrendo i tweet contenenti questo hashtag, ci si accorge facilmente come nel complesso il risultato si riveli piuttosto banale. Ma #twitteratura è stata ed è anche la parola usata, tanto in Italia quanto in Spagna e nei paesi sudamericani, per indicare esperimenti letterari in 140 caratteri più complessi e fecondi. Ad esempio si chiama proprio "Twitteratura" l'iniziativa intrapresa nel 2009 dal Sole 24 ore che spronava i lettori a raccontare storie, divise per macro-argomenti, in un sol tweet. Simile, ma più orientato verso la micro-descrizione di personaggi e vite vissute, l'interessante progetto @Micronarrativa.


Tantissimi gli esempi in lingua spagnola: @microcuentos (presente solo su Twitter e sprovvista di blog), @micropoesia (che sforna tweet poetici che hanno a che fare quindi con l'ulteriore "limite" della metrica), @cuentosminimos e @cruciforme ...


C'è poi chi si è spinto oltre, arrivando a concepire un progetto di narrativa transmediale partendo da Twitter. È il caso di   Jordi Cervera, un giornalista/scrittore catalano che ho intervistato nel novembre 2010 durante un mio soggiorno studio a Barcellona. Quello che segue è un montaggio tradotto in italiano della chiacchierata tenutasi in un bar di calle Diagonal, a due passi da Radio Catalunya, dove lavora. Il tutto è incentrato sull'opera grazie al quale ho scoperto chi fosse Cervera e che mi ha incuriosito a tal punto da indurmi a contattare l'autore ed arrivare fino a Barcellona per intervistarlo: Serial Chicken, un “giallo” (una “novela negra”) creato e diffuso interamente su Twitter tra il 13 gennaio e il 6 febbraio 2010 sia in lingua castigliana che in lingua catalana. Duecentosessantaquattro micro-messaggi di lunghezza uguale o inferiore ai canonici centoquarantacaratteri per raccontare gli sbraiti di un vecchio commissario frustrato, alle prese con una serie di omicidi accomunati dalla misteriosa presenza di galline nei luoghi dei delitti. 
Il risultato finale non convince sotto alcuni aspetti. L'ironia ad esempio, tranne qualche feconda eccezione, è fin troppo "facile", mentre la musica linkata nei tweet risulta quasi sempre didascalica e prevedibile (a riguardo ho altre preferenze). L'esperimento si rivela comunque davvero molto interessante, anche perché Cervera ha avuto il grande merito di cogliere l'essenza del mezzo: al compito affidatogli dagli organizzatori del Festival Bcn Negra di scrivere un micro giallo su Twitter, lo scrittore ha risposto scegliendo la strada più difficile e meno battuta. Costruire il racconto tweet dopo tweet spronando il feedback dei lettori, cogliendo opportunità transmediali e scrivendo giorno dopo giorno senza sapere dove la storia sarebbe andata a parare, anche perché, come dice Wu Ming 2: «scrivere una storia che si sa come va a finire è noioso almeno quanto leggere una storia che si sa come va a finire».

Il tweet che apre Serial Chicken nella versione in castigliano.

Barcelona, 25 novembre 2010

1) "Serial Chicken" mi ha davvero incuriosito e mi premeva innanzitutto chiederle della genesi del progetto, anche perché ho letto il racconto tutto in una volta e non ho potuto seguire passo passo i tweet che sfornava quotidianamente. Come ha reagito quando Bcn Negra le ha proposto di scrivere una storia interamente a colpi di tweet e per di più con delle galline come misteriose protagoniste? Converrà con me che non è esattamente la richiesta più comune del mondo.
La prima cosa che ho fatto quando mi è stato affidato l'incarico è stato documentarmi su quali scrittori prima di me si fossero cimentati in operazioni simili. Trovai due racconti, uno statunitense, uno messicano. Leggendoli, notai la modalità con la quale erano stati concepiti: storie ideate e scritte in maniera tradizionale, poi sminuzzate in tanti messaggi non eccedenti i centoquaranta caratteri. Storsi il naso e capii subito che dovevo seguire un'altra strada, per certi versi opposta: creare il racconto tweet dopo tweet, senza avere idea di come sarebbero andate a finire le vicende narrate. Solo così avrei potuto non tradire lo spirito del mezzo, cogliendone la reale cifra rappresentata dall'immediatezza, dalla spontaneità e dal carattere interattivo. Procedevo considerando ogni tweet come una sorta di istantanea, di cartolina, arrivando quindi a creare un flusso ininterrotto di piccoli flash, legati tra di loro ma che al contempo avevano, per quanto possibile, una propria parziale compiutezza. La seconda priorità fu mantenere il racconto aperto per permettere l'interazione della gente e quindi il proliferare di commenti, osservazioni, consigli. L'esperimento andò bene: mi ricordo ad esempio di un lettore che mi inviò link ad un video dei Depeche Mode registrato in un pollaio: non potevo davvero non inserirlo nel racconto! Era troppo calzante!

J. Cervera twitta con una gallina al suo fianco: la promozione del progetto ha giocato molto sulla presenza nella storia di galline misteriose tanto da farle presenziare ad ogni incontro con la stampa e con il pubblico.

2) Quasi ogni tweet di "Serial Chicken" è una sorta di aforisma che cerca il sorriso del lettore. Molte battute sono immediate, intuitive, ammiccanti, altre, quelle che nascono dai dialoghi tra il commissario e i sospettati, un po' più ricercate. Come definirebbe la sua ironia? Ed è presente anche nei suoi racconti tradizionali?
Un tocco di umore lo metto sempre in tutte i miei scritti, siano romanzi o articoli di giornale, fa parte della mia persona, ma il mezzo in questione ha tirato fuori la voglia di fare battute secche e giocare anche con i lettori.

3) La prima cosa che ho notato leggendo i suoi tweet è stato il tentativo di evitare abbreviazioni eccessive e tutti quei tic tipici degli sms a cui i tweet sono inevitabilmente associati. È stata dura non sforare i centoquaranta caratteri concedendosi solo poche scorciatoie?
Rispettare il mezzo ma al contempo rispettare un minimo le regole della buona scrittura. Questo è stato il mio obiettivo. Ho cercato di restare fedele alla lingua spagnola, evitare di commettere barbarità linguistiche come saltare consonanti. Va detto che qualche virgola ad esempio l'ho fatta fuori, e qualche commento purista un po' stizzito a riguardo l'ho ricevuto. Non mi piace abbreviare, mi piaceva invece l'idea, per quanto possibile, di mantenere un minimo di professionalità. Esplorare il linguaggio, accettare la sfida, giocare bene con le regole del gioco.

4) Un altro aspetto che mi interesserebbe molto approfondire riguarda i possibili sbocchi creativi imposti dai limiti: pensa anche lei che le costrizioni, come quelli imposti dalla metrica in poesia, possano risultare alleati della creatività?
Certamente. E comunque i limiti imposti di Twitter risultano meni pesanti grazie ai link, magari diretti a foto che permettono di evitare descrizioni. Le scene si completano con i collegamenti esterni a mappe, musica … non devo scrivere “qui c'è un edificio” e poi descriverlo, mi può bastare linkare quell'edificio, magari indicandone la localizzazione con Google Map. Il bello di Twitter poi, è che ti obbliga a ripensare tantissimo su ogni parola che scegli: questo è il gran cambio di mentalità.

5) Ok, ma qualcuno obietterà senz'altro che allargando l'ambito della narrazione a video, foto e quant'altro, la parola perde almeno in parte la sua centralità. Non si rischia di modificare alla radice l'essenza stessa della letteratura?
Chi obietta una cosa del genere potrebbe pure avere ragione, ma sbaglia punto di vista: non bisogna vedere le due cose come opposte e incompatibili. Se ci mettessimo tutti a raccontare storie solo su Twitter o su Facebook, riempendole di link, la letteratura ne uscirebbe denutrita. Ma così non sarà mai: si tratta solo di cercare formi nuove che arricchiscano le possibilità del narrare.

Una delle tante foto linkate da Cervera nei suoi tweet. In questo caso si tratta di un foto realizzata da Bcn Negra espressamente per il racconto.

6) Cosa pensa invece della traduzione di grandi classici in forma di tweet?
Il pericolo è che ci sia gente che finisca per credere che “El Quijote” sia quello. Ma se qualcuno arriva al Quijote tramite Twitter e poi si legge il malloppo originale, ben venga. Questa modalità di twitteratura può essere un virtuoso modo per far si che la gente entri in contatto con delle opere fondamentali.

7) Tornando invece alla scrittura sintetica tipica di sms e social network, pensa che a forza di abbreviare e tollerare gli errori, ci sia il rischio che i cosiddetti nativi digitali subiscano un depauperamento delle proprie abilità comunicative, non riuscendo a sviluppare una scrittura più riflessiva e ponderata?
Dipende da come evolve la cosa. Comunque penso che vada fatto proprio il distinguo che indichi: chi ha una formazione classica può adattarsi, più o meno facilmente, a queste nuove forme di comunicazione, magari riuscendo a trarne giovamento, visto che hanno una solida base a cui aggrapparsi. Per i nativi digitali invece, penso che il pericolo sia reale: se fin da bambino scrivi con abbreviazioni continue, errori grammaticali “leciti”, esclamativi eccessivi, è difficilissimo acquisire poi una proprietà di linguaggio elevata e composita. Quindi la vedo così: potenziale risorsa per i migranti digitali, potenziale rischio per i nativi digitali.

8) Twitter e Facebook. Personalmente sostengo abbiano funzioni e caratteristiche tali da renderle due piattaforme profondamente diverse. Nota anche lei questa ontologica diversità? Quale pensa siano le peculiarità dell'una e dell'altra?
Twitter è più immediato ma anche più ingovernabile, Facebook è un po' più riposante, su Twitter o sei costantemente connesso o rischi di perderti. Su Twitter devi essere bravo a scegliere gente giusta e poi ricevi meno feedback, su Facebook ci si sente meno soli: in genere se non rispondi ad un tweet non succede nulla, se non rispondi ad un messaggio su Facebook sembri maleducato. Twitter inoltre penso sia più professionale, quantomeno negli ultimi tempi: all'inizio proliferavano tweet autoreferenziali che raccontavano minuto per minuto ogni azione svolta durante la giornata, mentre ora mi pare che questa tendenza sia diminuita, su Facebook rimane invece preponderante. Sì, hai ragione: ci sono un sacco di differenze, potremmo continuare per una buona mezz'ora, meglio cambiare domanda!

9) Nella mia tesi mi occupo dell'utilizzo della rete da parte di Wu Ming. Nelle sue risposte, sebbene abbiate stili molto diversi, ho trovato anche delle convergenze con le opinioni di quel collettivo di scrittori. Vediamo se andate d'accordo anche su questi altri due punti che provo a riassumere: le storie sono di tutti e sarebbe cosa buona e giusta se gli autori che le raccontano le mettessero a disposizione dei propri lettori tramite la pratiche del copyleft; un buon lavoro in rete per essere tale non può prescindere da un contatto diretto e dialettico con la strada, intesa come luogo dei rapporti faccia a faccia, reali, vissuti. 
Il copyleft è una modalità molto interessante ma la mia opinione è che non tutti gli autori si possono permette un atteggiamento del genere. Quello del diritto d'autore, spesso messo in discussione e calpestato dalla pirateria è un problema reale. Per quanto concerne il secondo punto, beh, sono d'accordo, anche se uno dei pregi della rete è proprio il fatto che permette di supplire alla lontananza fisica. A volte accadono cose incredibili e paradossali tipo usare le chat per comunicare con qualcuno che è nella tua stessa stanza! E basti pensare alle volte che su Facebook annunci di presenziare ad un evento e poi, puntualmente, non ti presenti. Spesso mi è capitato di assistere a presentazioni di libri in cui “erano annunciate” trecento persone e se ne presentavano dieci!

10) Il suo blog è molto visitato e nel 2008 ha vinto due premi come migliro blog culturale catalan. Che utilizzo ne fa e come spiega il suo successo? Inoltre, come si pone nel dibattito tra coloro che sostengono che i blog stiano morendo, soffocati dai social network, e tra chi invece ne sottolinea al contrario lo stato salute e maturazione ?
La mia emittente radiofonica mi ha letteralmente imposto di aprire un blog. E per come sono andate le cose, beh, devo ringraziarla. Io infatti ero piuttosto refrattario ad accettare la richiesta: associavo i blog alla “letteratura dell'io”. Ora, o hai cose interessanti da raccontare ogni giorno perché hai una vita movimentata, o scrivi talmente bene che anche parlando di cazzate, riesci a convincere. Visto che io non avevo prima e non ho adesso né una vita movimentata né un talento particolare nello scrivere, non mi interessava proprio aprire un blog. Poi, costretto a farlo per lavoro, cercai un modo di entrare in quel mondo senza piegarmi alla “letteratura dell'io”. Ho iniziato quindi a costruire itinerari di lettura, consigliando e recensendo libri altrui, poi ho anche trovato il potenziale prettamente giornalistico del blog, ottenendo una visione più asettica e distante. Per quanto concerne la presunta sfida tra blog e social network, io dico che sono complementari: il blog ti permette infatti quella possibilità di riflettere che manca nei social network. Comunque conta molto la cornice: uno stesso articolo trovato “dentro” Facebook, magari mi limito a scorrerlo con gli occhi, sul blog invece lo leggo, perché ha un tocco più intimo. Anche i blog inizialmente erano nati come strumento per raccontarsi, ora si è arrivati ad un punto che se non hai realmente cose da dire non susciti interesse e devi smobilitare. Diciamo che i blog stanno vivendo una fase matura, è avvenuta una selezione naturale nel tempo. Non tutto è adatto a tutto: la cosa importante è cogliere l'essenza di ogni mezzo.

Serial Chicken - versione catalana - finisce così

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