Uso Twitter per: denunciare la grande rapina dei padri verso i figli, tifare Juve, spiegare come si usa il web, pensare politicamente, amare
— Mario Adinolfi (@marioadinolfi) January 7, 2012
Sapevate che esiste *il giornale online degli italiani nati dopo il 1° gennaio 1970*? (recita così il suo sottotitolo-epiteto). Si chiama The Daily Week, e il suo fondatore, di origine italiana (Roma) e nato dopo il 1970 (1971), è Mario Adinolfi, nome piuttosto noto sia in tv che in rete (lo ricordo anche come candidato giovine e dinamico alla primarie pd del 2007, mentre dalla sua bio di Twitter scopro che è pure un gran giocatore di poker, come del resto egli stesso non perde occasione di ricordare). Le pagine di questo giornale di (o "per"?) giovani italiani, hanno di recente ospitato, a firma del sopracitato direttore, un "decalogo per twitter". A me non è piaciuto manco un po' e compito delle prossime righe è cercare di far capire il perché.
Premessa: c'è chi storce subito il naso dinanzi a operazioni del genere, al di là dei contenuti proposti. È il caso di Luca Padovano aka @asinomorto, che pure ama tantissimo le meta-riflessioni sul mezzo (l'ho "conosciuto" tramite alcuni ispirati tweet sfornati nei giorni di #twitterisnotfb). Proprio in relazione al post di Adinolfi che avevo linkato, @asinomorto ha duettato con @danffi stroncando "in sè" la stesura di un *decalogo per twitter*.
Sebbene la formula delle 10 regole, pur di grande presa, non convinca neanche a me (preferisco tentativi più discorsivi come quello, limitato però all'uso di Twitter da parte delle case editrici, che ho abbozzato rispondendo alle domande di @artnite per LibrInnovando) reputo comunque potenzialmente molto utile provare a consigliare e indirizzare coloro che si sono iscritti da poco e/o quelli che ne fanno un utilizzo distratto e poco consapevole. La "grammatica" di Twitter del resto non è poi così semplice da imparare per una matricola, sopratutto se la matricola in questione viene da Facebook e si aspetta di trovare un ambiente simile: qualche saggio "maestro", se scevro dai tanto frequenti quanto insopportabili tic da guru dei social media, si fa opportuno per aiutare a "alfabetizzare" la massa critica.
Ma proprio perché ci troviamo in un momento di grande espansione del numero di nuovi iscritti a Twitter, e visto che spesso gli articoli di testate mainstream che parlano di questo mezzo lo fanno in maniera disinformata e/o caricaturale, è particolarmente importante evitare che questi consigli, quale che sia la forma scelta per comunicarli, risultino approssimativi. E proprio l'aggettivo "approssimativo" ben si presta a descrivere alcune parti del pezzo di Adinolfi. Il concetto basilare che cerca di esprimere - usare Twitter in modo critico eliminando il cazzeggio - è condivisibile, così come è cosa buona e giusta spronare a non sbavare dietro ai vip cercando il riflesso della loro luce, e al contempo criticare i vip stessi quando usano questo mezzo come megafono pubblicitario o come chat. Ma, al di là del tono usato da Adinolfi che m'ha reso il pezzo antipatico a pelle fin dalle prime righe, c'è un punto su cui non riesco a transigere e che fa scadere il valore di tutto il decalogo. Si tratta proprio della regola numero 1, in grado di farmi subito cascare le braccia.
Regola 1. Abolire FF, TT, MT, # e twit con link.
Vada per quel perentorio "abolire": ci sta in un decalogo, perentorio per definizione. Sui #ff: possono essere curati e utili ma è verissimo che rischiano di rivelarsi strumento vacuo, esempio tipico di rumore di fondo (questo storify cerca di spiegarlo). Sorvolo pure sugli MT e sulla poca chiarezza di quel TT messo lì (presumo intenda: non dare troppa importanza ai trending topics. Se è così, son d'accordo, semmai mi piace contribuire a "occuparli" collettivamente). Poi però, arriva la sentenza inaccettabile: abolire hashtag e link. Cosa? Ok, andiamoci piano prima di sputare sentenze. Mi armo di empatia e provo a entrare nei panni dell'autore del pezzo. Sono @MarioAdinolfi, seguo oltre 2700 persone (qui spiego perché) e molte di queste mi fracassano le palle inserendo idioti hashtag cazzeggianti su ogni tweet, da #buongiorno a #sapevatelo. Sono sempre @MarioAdinolfi e credo anche che inserire link nei tweet significa in un certo senso "barare" e infrangere le regole del gioco. Facile farsi bastare 140 caratteri se con appena 20 caratteri posso linkare un articolo esterno! Così non c'è sfida, così non c'è gusto!
Ora ritorno Francesco @akaOnir e mi compiaccio delle mie doti di avvocato del diavolo: messa così (è quello che intendeva?) Mario non pare sparare frottole. Ma qual pressapochezza! La regola numero 1 può indurre l'utente poco avvezzo che si fida di Adinolfi - un opinion leader per molti presumo, fra l'altro vanta oltre 9000 follower - a pensare che gli hashtag e i link siano da evitare completamente. Sarebbe una boiata pazzesca. Spronare a non usare il cancelletto significa allontanare gli utenti da una delle peculiarità di questo mezzo, fra l'altro introdotta dagli utenti stessi. Sono proprio alcuni hashtag a permettere a Twitter di essere, in certi momenti, un motore di ricerca in tempo reale («Se state cercando un articolo interessante o un sito dedicato al cestista Koby Bryant consultate Google. Ma se state cercando i commenti sui tre punti che Kobe ha segnato 30 secondi fa, beh, andate su Twitter» l'efficace esempio del giornalista Steve Johnson), e senza di essi, orientarsi nel marasma informativo generatato dalla pioggia di tweet sarebbe impossibile. Gli hashtag permettono di catalogare e ad essi si appoggiano coloro che cercano di conservare nel tempo i contenuti prodotti su Twitter: come avrei fatto senza l'hashtag #AaAM a ripercorre la vita in rete del libro Anatra all'arancia meccanica ad un anno dalla sua uscita? I tweet contenenti hashtag aumentano inoltre il proprio raggio d'azione: non saranno letti solo dai nostri follower ma anche da coloro che vi capiteranno (serendipity!) per aver cliccato sull'hashtag. Insomma, la sentenza "abolire gli #", espressa in quel modo, è il peggior dritta possibile. E qualora (spero) Adinolfi si riferisse solo agli hashtag da cazzeggio, aumentarebbe il mio disappunto per la sua scelta di non approfondire il discorso: le regole proposte sarebbero potute essere i titoli dei consigli spiegati (non occorreva un tema, bastava una cosa tipo: "evitare # inutili da cazzeggio come #sapevatelo, ottimizzare l'utilizzo degli hashtag di informazione"). A riguardo un esempio a mio avviso virtuoso che va nella direzione opposta, è quello fornito da Luca Alagna, noto su Twitter come @ezekiel. Nel dicembre 2010 diffuse le sue 12 dritte: titoli-tweet ad effetto ad introdurre post dedicati per ogni singolo consiglio. Un azzeccato mix tra la forma sintetica e efficace del decalogo (nel suo caso dodecalogo) e l'analisi dettagliata che evita pressapochismi e disguidi.
Ora ritorno Francesco @akaOnir e mi compiaccio delle mie doti di avvocato del diavolo: messa così (è quello che intendeva?) Mario non pare sparare frottole. Ma qual pressapochezza! La regola numero 1 può indurre l'utente poco avvezzo che si fida di Adinolfi - un opinion leader per molti presumo, fra l'altro vanta oltre 9000 follower - a pensare che gli hashtag e i link siano da evitare completamente. Sarebbe una boiata pazzesca. Spronare a non usare il cancelletto significa allontanare gli utenti da una delle peculiarità di questo mezzo, fra l'altro introdotta dagli utenti stessi. Sono proprio alcuni hashtag a permettere a Twitter di essere, in certi momenti, un motore di ricerca in tempo reale («Se state cercando un articolo interessante o un sito dedicato al cestista Koby Bryant consultate Google. Ma se state cercando i commenti sui tre punti che Kobe ha segnato 30 secondi fa, beh, andate su Twitter» l'efficace esempio del giornalista Steve Johnson), e senza di essi, orientarsi nel marasma informativo generatato dalla pioggia di tweet sarebbe impossibile. Gli hashtag permettono di catalogare e ad essi si appoggiano coloro che cercano di conservare nel tempo i contenuti prodotti su Twitter: come avrei fatto senza l'hashtag #AaAM a ripercorre la vita in rete del libro Anatra all'arancia meccanica ad un anno dalla sua uscita? I tweet contenenti hashtag aumentano inoltre il proprio raggio d'azione: non saranno letti solo dai nostri follower ma anche da coloro che vi capiteranno (serendipity!) per aver cliccato sull'hashtag. Insomma, la sentenza "abolire gli #", espressa in quel modo, è il peggior dritta possibile. E qualora (spero) Adinolfi si riferisse solo agli hashtag da cazzeggio, aumentarebbe il mio disappunto per la sua scelta di non approfondire il discorso: le regole proposte sarebbero potute essere i titoli dei consigli spiegati (non occorreva un tema, bastava una cosa tipo: "evitare # inutili da cazzeggio come #sapevatelo, ottimizzare l'utilizzo degli hashtag di informazione"). A riguardo un esempio a mio avviso virtuoso che va nella direzione opposta, è quello fornito da Luca Alagna, noto su Twitter come @ezekiel. Nel dicembre 2010 diffuse le sue 12 dritte: titoli-tweet ad effetto ad introdurre post dedicati per ogni singolo consiglio. Un azzeccato mix tra la forma sintetica e efficace del decalogo (nel suo caso dodecalogo) e l'analisi dettagliata che evita pressapochismi e disguidi.
Ma veniamo ai link. Ho dato un'occhiata al profilo @marioadinolfi (purtroppo non seguendolo ho una visione parziale, limitata all'ultimo centinaio di tweet) per verificare la presenza di tweet che rimandessero a contenuti esterni. Ovviamente ve ne sono. E linkano per lo più al suo profilo Fb, al suo blog, a "Citofanare Adinolfi" (*il canale che racconta in diretta la realtà italiana rendendo protagonista la voce dei cittadini del web*) e al sopracitato DailyWeek (detto The Week). Adinolfi non rinuncia quindi allo strumento link per diffondere i propri contenuti come è giusto che sia. Ma come predica coerentemente nel decalogo, non usa, quantomeno in maniera frequente, lo strumento link per veicolare contenuti esterni. Tale scelta mi ha subito fatto pensare a quella opposta fatta da Wu Ming che di recente ha radicalizzato la sua preferenza per i tweet contenenti collegamenti che portino altrove. «Non cercheremo più di produrre contenuto qui dentro, ma rinvieremo sempre ad altri spazi (non soltanto nostri). Insomma, linkeremo contenuti esterni». A commentare quel post è intervenuto anche Angelo Ricci e il suo intervento è ancora più eloquente e significativo, indicando proprio nei link la possibilità di combattere il cazzeggio.
❝ Certamente twitter è un formidabile strumento per divulgare contenuti che rimandino ad altri luoghi e in questo senso la decisione di twittare (orribile neologismo) contenuti attraverso i link mi pare in sintonia perfetta con la considerazione di twitter come strumento divulgativo. La produzione di contenuti linkati è un po’ uno sviluppo dello strumento twitter che, non va dimenticato, iniziò esclusivamente come vetrina espositiva di quella italica espressione che va sotto il nome di cazzeggio ❞In un post che vuole combattere la deriva cazzeggiante di Twitter, consigliare l'abolizione dei link pare quindi una contraddizione, sebbene è chiaro se si possano linkare anche cazzate e sebbene sia il primo ad apprezzare le possibilità aforistiche dettate dai limiti dei 140 caratteri e i possibili sbocchi creativi derivante da questa stringata costrizione. Per esprimere l'importanza che i link rivestono nei tweet, Marina Petrillo, giornalista e conduttrice radiofonica notissima su Twitter come @AlaskaRp, ha usato la felice espressione "piccola bomba di densità (Twitter Rivoluziona i media e spodesta la televisione, NewTabloid, Marzo-Aprile 2011).
❝ Se Twitter è noto per la sua concisione - massimo 140 caratteri alla volta – questo non deve ingannare: un tweet può essere una piccola bomba di densità, con un messaggio, uno shortlink che rimanda a una foto inviata in tempo reale o a un lungo testo di approfondimento ❞.
Fregarsene degli hashtag e non usufruire dei link esterni significa depauperare le potenzialità di questo mezzo. Se come sostiene Adinolfi l'utilizzo che molti fanno di Twitter è un'occasione persa, di sicuro lo è stata anche, da parte sua, scegliere un modo così schematico, frettoloso e vago per indicare la retta via su come ottimizzarne l'uso.
PS1. mi sono soffermato solo sulla regola numero 1 perché l'intento del post era partire dallo spunto dato da Adinolfi per sottolineare l'importanza di link e hashtag. Il resto del decalogo fa schifo un po' meno, anche se, ripeto, infastidisce il tono usato e la pressapochezza generale.
PS3. Un paio di tweet di Adinolfi (questo e quest'altro) sono riusciti in un miracolo: farmi provare empatia e simpatia per Francesco Facchinetti, già Dj Francesco (back in da dayz).
PS2. il numero esorbitante di persone che segue Adinolfi lascia seri dubbi sul fatto che riesca a "seguirle" davvero. La sua spiegazione della scelta comunque è piuttosto convincente: «seguire molte persone (io 2.800) crea un flusso che ti permette di aver una consapevolezza concreta di cosa agita la rete». Ma è altresì vero che se avesse una timeline più ristretta e ricercata schiverebbe con più facilità i tantissimi tweet cazzeggianti che ogni giorno si producono (ha ragione tylerdurdan_: "Solo un sano e consapevole defollow salva il giovane dallo scemitorio su twitter"). Nella mia TL ad esempio, costituita attualmente da poco più di 400 profili, c'è molta ironia (a volte anche giustamente cazzeggiante) ma rarissimamente incontro tweet idioti e relativi hashtag idioti (che poi #sapevatelo sa essere anche simpatico, buongiorno invece proprio no).
Non uso molto twitter ma se una cosa mi pare lo renda interessante è proprio l'utilizzo degli hashtag e la possibilità di far girare info coi link! Insomma, quelle di Adinolfi più che dritte paiono storte!
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