Twitter "in" due domeniche. Dai nervi #saldi No-Tav ai riflessi condizionati pro (?) #Bobbio (No-servo)

Da un muro trovato in rete
«Noi siamo come i cani di Pavlov. Pavlov suona il campanaccio. E noi corriamo. Perché quando il campanaccio suona, bisogna correre. È così che va. È automatico. Pure coi morti è così. C’è un morto. C’è la rabbia. C’è il ricordo. È così che va. È automatico». ("La Profezia dell'Armadillo", Zero Calcare)

Twitter annunciava censure. Immediata la reazione di molti utenti inferociti, talmente immediata da sembrarmi poco informata e impulsiva. Parimenti poco informato, spronavo me stesso a seguire almeno ogni tanto il provocatorio consiglio inciso sullo sfondo del mio profilo: sfanculeggiare Twitter e (ri)cominciare a "scriverlo" sui muri. La mia amica @valijolie - connessa tanto ai social media quanto ai movimenti - rispondeva così:


Appena un paio di giorni dopo, proprio una scritta su un muro, demistificata ad arte, è stata il facile bersaglio di una mannara collettiva a colpi di tweet, fomentata principalmente da un paio di utenti molti seguiti e spesso dediti a "giocare" con hashtag e trending topics.
 «Il movimento ha varie anime, ognuna con le sue diverse forme di protesta. Noi valsusini non siamo abituati a scrivere sui muri e non sopportiamo che altri lo facciano. Per noi è una questione di educazione e rispetto per la gente» aveva dichiarato Alberto Perino, uno dei massimi rappresentanti del movimento. Ma di scritte, No-Tav e non, Torino è piena, e una di queste urlava "servo!". Norberto Bobbio di mezzo, anzi messo in mezzo e ridotto a #hashtag bigotto e strumentale. La scritta in questione aveva infatti tutt'altro obbiettivo, ovvero Massimo Numa,  giornalista de "la Stampa" (il perché No Tav ce l'abbia con lui è spiegato qui e qua). Una foto "parziale" circolata per ore ha lasciato intendere ciò che non era.

Torino, ex sede de "la Stampa". A sinistra la foto circolata inizialmente, dalla quale si tende a considerare la scritta *servo* riferita a Bobbio. A destra la foto "completa" che mostra chiaramente come l'appellativo si riferisse a Numa.

Sotto l'hashtag #bobbio si sono rincorsi e raccolti decine e decine di messaggi indignati, che più che difendere il filosofo (da cosa poi?), eretto inopinatamente a eroe/vittima, sono *serviti* a insultare tout court il movimento No-Tav, con generalizzazioni e banalizzazioni sconcertanti, ben riassunte da un tweet di @mattpumpkin.


Un accuratissimo storify spiega nel dettaglio l'accaduto mostrando tutto lo schifo generatosi su Twitter. E da questa vicenda trae spunto un post di @jumpinshark per arrivare a descrivere le dinamiche di quello che definisce "social linciaggio".
❝A ogni festa comandata, a ogni manifestazione, a ogni conflitto sociale o ideologico, si dipingono svelti e lesti un cattivone (da ultimo un feroce teppista che non vuole la Tav e non rispetta l'illustre effigie del nobilissimo filosofo Norberto Bobbio lungo le strade torinesi;  e subito si parte, su Facebook come su Twitter come su qualsiasi altro strumento futuro che consenta facile aggregazione dietro a un fantasma di libertà (negata), e si esige il tutti insieme in coro. I leaderini cavalieri davanti e gli spingitori di cavalieri (come direbbe Vulvia) dietro a far numero, tutti a cavalcare l'onda dell'indignazione, a furia di condividi e ritwitta e rilancia e riprendi e avverti l'altro amico che scandalosamente non sta partecipando alla nobile impresa. Che il Valhalla del Trending Topic è lì a portata di mano, e basta ancora una sforzo, tutti insieme, ancora un dagli all'untore e un richiamare al dovere di linciaggio qualche riottoso. E ci se la fa. E si sconfigge il drago o il cattivo mago, o chi cavolo è il nemico a questo giro. Vittoria!❞.
Anche un post di Giuliano Santoro sottolinea come su Twitter sia sempre più diffusa la tendenza a cercare un bersaglio da colpire:
❝Su Twitter, spazio virtuale che pure fino a qualche giorno fa veniva considerato il “salotto buono” del social networking, basta alzare un dito per indicare un nemico al prossimo: subito l’ondata di hashtag si mobilita, alla ricerca di un colpevole che ci faccia sentire un po’ più giustizieri e un po’ meno responsabilizzati❞.
Così è. E se sarebbe riduttivo attribuire esclusivamente al mezzo usato il proliferare di certi atteggiamenti, virtuosi o nefasti che essi siano, questo non significa che non si debba cercare di riflettere su come taluni mezzi tendano più di altri a innescarli o inibirli.
❝C’è chi ha detto che un social network come Twitter è solo lo specchio della società. La metafora ci sembra inappropriata: uno specchio non accelera la tendenza all’entropia della realtà che riflette. Con la sua forsennata, ansiogena pulsione all’immediatezza degli scambi, un mezzo come Twitter, se usato assecondandone in toto la logica anziché contrastandola con l’autodisciplina e la creatività, diventa peggiorativo della realtà che trova, ne amplifica i tratti più retrivi. Se la parola fugge in avanti prima che si formi il pensiero, se quel che conta è l’iper-velocità nel rispondere, fatalmente si tira fuori il peggio❞.
Queste puntuali e preziose parole sono estratte dal post con cui Wu Ming 1 ha annunciato la decisione di "traslocare" da Twitter  a Identi.ca.  Wu Ming in realtà, pur trascurandolo, era già iscritto a quel social network da ben 7 mesi, quelli che separano il depricabile episodio dell'hashtag #bobbio da un altro momento, di natura ben diversa, che ha segnato una pagina importante della storia di Twitter in Italia.  Si tratta di un fecondo esperimento collettivo di dirottamento di un hashtag. Il link allo storify che lo racconta starebbe benissimo su quel "contrastandola con l'autodisciplina e la creatività": grazie all'autodisciplinante monito "nervi saldi" si palesò creatività a profusione. L'hashtag #saldi, che faceva riferimento agli sconti di mezza estate di quel caldo luglio, divenne letteralmente occupato dai tweet provenienti dall'ancora più calda Val Susa e dagli utenti che da casa seguivano quella splendida giornata di resistenza, rivivibile con un altro inderogabile storify. Fu un modo per "forzare" creativamente le falle dell'algoritmo dei trending topics che escludeva l'hashtag #notav sebbene avesse abbondantemente i numeri per essere considerato tema caldo.  Fu un modo per ribellarsi all'idea che su Twitter gli argomenti di discussione siano esclusivamente disimpegnati, riuscendo a far capire come questo mezzo possa essere potentissimo a fini di attivismo politico e sociale.

No-Tav ha quindi a che fare con due momenti che hanno rimarcato altrettante "capacità" di Twitter: quella - vissuta in prima persona dal movimento - di innescare processi creativi collettivi e dinamiche di conflittualità, e quella - subita dal movimento - di favorire il pressapochismo, la voglia di salire sul carro, il riflesso condizionato.  Due domeniche, due hashtag, due facce di questo controverso social network.



La domanda ora è: il fatto che l'accadimento virtuoso sia avvenuto prima che la massa critica arrivasse su Twitter  è solo un caso? E quindi: lo schifo avvenuto sotto l'hashtag #bobbio sarebbe potuto accadere qualche mese fa? E ancora (e sopratutto): sono ancora possibili esperimenti come #nervi saldi?  @uomoinpolvere su Giap:
❝[...] quando una grossa parte della società è entrata nella macchina-twitter, *allora* questa macchina si rivela per ciò che è, assume le sue piene funzioni, ed è sempre meno utilizzabile per scopi creativi/fondativi di diversità proficue/antagonisti al sistema/liberanti. Dove ci poteva essere agile, efficace strumento ed esercizio di sintesi, oggi c’è sempre più trasmissione di messaggi a onde cortissime. Il drammatico di questa situazione è la necessità di trovarsi sempre eterotopici rispetto alla macchina che ingloba in un determinato momento la parte maggiore della società in rete perché quella è la macchina che è riuscita a maturare al punto tale da esprimere in maniera schiacciante le istanze reazionarie del sistema che l’ha prodotta❞.
Lo stesso @uomoinpolvere è stato protagonista di un' azione pratica molto controversa e spiazzante appena quattro sere dopo: in risposta al solito linciaggio, stavolta riservato a Cesare Battisti e una sua intervista trasmessa dalle Iene, ha provato, riuscendoci, a far divenire trending topic l'hashtag #polpot. Che c'azzeccava? Nulla, e in questo nulla risiedeva probabilmente il senso della cosa, se un senso lo aveva. Far emergere i meccanismi perversi che si innescano quando ci si muove Twitter in base ai trend nonché dimostrare come *qualsiasi cosa* può essere spinta fino all'ambita lista dei TT.

Il punto di partenza per ogni riflessione è ammettere - non tutti lo fanno - che i social media mutano nel tempo e che il refrain "dipende da come lo usi" risulta logoro. Sarebbe da ingenui far finta che non conti *chi* usa uno spazio e *quanti* siano a usarlo. Se il mio locale preferito, ricercato e accogliente, divenisse covo perennemente sovraffollato di gente rumorosa e fastidiosa, forse smetterei di frequentarlo o quantomeno lo farei senza la stessa frequenza e dedizione. E se su Twitter, essendo le relazioni che vi si istaurano non bidirezionali e basate sui contenuti e non su l'identità, si può schivare meglio rispetto ad altri luoghi il rumore di fondo e ciò che non ci interessa (ma ora che anche quel tipo che conosci e che non sopporti si è messo a twittare e ti segue, ti retwitta e ti menziona, "riesci" a non seguirlo?) è anche vero che si tratta di un luogo più aperto di altri, in cui tra i retweet di chi segui e hashtag da cliccare finisci per entrare in contatto con messaggi non provenienti dalla timeline che ti sei costruito. Nulla di male, anzi, questo è il bello. Ma imbattersi in tweet feccia è sempre stato facile, e ora lo è più di prima.
Già. Ma fino a che punto? Come detto da Wu Ming 1 in un commento riportato sopra, la metafora "twitter specchio della società" non regge. E entrando nel merito della vicenda durante la discussione su Giap, Wu Ming 1 sottolinea l'importanza di chi ha saputo rispondere alla tossicità insita nell'utilizzo dell'hashtag #Bobbio. Wu Ming ha deciso di non spendere più il tempo e le energie necessarie per stare conflittualmente su Twitter, ma reputa che chi ha modo e voglia, possa ancora opporre resistenza a certe dinamiche distorte sempre più dilaganti.
 ❝C’è davvero qualcuno convinto che una roba come #Bobbio sia stata l’espressione di masse disagiate e poco scolarizzate etc. etc.? Vero, Twitter è cresciuto molto negli ultimi mesi, ma è ancora molto lontano dalla dimensione “di massa” di FB, e in ogni caso nemmeno quest’ultima rispecchia la composizione sociale del Paese in tutte le sue componenti. Anche dopo l’invasione dei VIP, Twitter coltiva il residuo di una connotazione più “acculturata” e blandamente hipster rispetto a FB. Su Twitter, l’altro giorno, io ho visto per l’ennesima volta all’opera un ceto di professionisti e semi-professionisti dell’informazione su web, intento ad aizzare gli “animal instincts” di una piccola borghesia codina e canagliesca, e tanto più codina quanto più si crede “di sinistra”. Insomma, quelle non erano le masse popolari sviate che una sinistra eccessivamente intellettualizzata non riesce più a intercettare etc. Al contrario: quella era una pseudo- o ex- sinistra sedicentemente intellettualizzata che calunniava una lotta popolare di massa, quella dei No Tav. E lo faceva perché ormai aliena a ogni realtà di lotta… e forse aliena a ogni genere di realtà, tout court. E’ stato chi si è adoperato a denunciare la mistificazione e rovesciare il frame a mantenere un contatto con una realtà di lotta e di massa❞.
Ripercorrendo gli episodi fecondi legati a forme di attivismo su Twitter, Wu Ming 1 individua anche la modalità più efficace:
 ❝In generale: quando Twitter ha funzionato bene, è sempre stato merito di “minoranze agenti”, di “unità mobili e intelligenti” che si aggregavano e comunicavano per uno scopo preciso: inquadrare in modo efficace un problema, fare informazione rapida e polifonica su un evento etc. Inquadrature e informazioni che poi da Twitter – presto o tardi – passavano su altri media. Insomma, si è sempre trattato di guerriglia, non di guerra campale. La guerriglia è l’unica modalità di combattimento in cui “quattro gatti” possono mettere in crisi massicce operazioni militari di un nemico molto più grande❞.
Cercare spazi d'azione, innescare contronarrazioni. Mantenere "nervi saldi" evitando atteggiamenti compulsivi e dinamiche di gregge. Ben consapevoli dei limiti di questo mezzo ma anche delle possibilità di forzarli o di ottimizzarne gli sbocchi creativi. Perché a volte 140 caratteri posson bastare. Giapster Mauro Vanetti, a te la chiosa:
 ❝Gli slogan, le scritte sui muri, le imprecazioni contro i potenti … hanno sempre avuto meno di 140 caratteri. Non sono resistenza, ma non si è mai vista una resistenza che non avesse anche quello. D’altronde proprio tutto questo discorso nasce da una storia di resistenza reale e da un corteo che mentre marciava lasciava delle scritte sui muri, a volte simpatiche, a volte semplicistiche, a volte pure un po’ sciocche❞. 

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