Autodefinitesi - a ragione - l'evento editoriale italiano più social di sempre, Librinnovando, tenutosi a Milano lo scorso 25 novembre (2° edizione), ha ospitato dibatti, presentazioni e workshop sul futuro dell'editoria. Tra gli oratori c'era anche Arturo Robertazzi aka @artNite, chimico, blogger e scrittore che vive a Berlino. L'autore di Zagreb, incuriosito dalla mia intervista al Wu Ming 1, ha ben pensato di rendermi partecipe della sua approfondita ricerca sui profili twitter di alcune case editrici italiane, intervistandomi via mail a riguardo. Le sue tre semplici domande, poste anche a Angelo Ricci e miss Aisara (perché proprio noi tre? Perché secondo Arturo - come epiteta lui nessuno mai :) - siamo *tuitteri un po' speciali*), hanno fatto emergere quelli che penso siano utilizzi virtuosi di Twitter, e al contempo quelli che ritengo invece essere nefasti, indicando un modello (un bot!) da imitare.
@artinite - PERCHÉ per una casa editrice è importante usare Twitter?
@akaOnir - Twitter è il social media che più di ogni altro pone al centro la parola, il binomio col mondo dell’editoria suona quindi bene già da principio. Inoltre gli utenti che lo utilizzano sono diversi da quelli del rivale Facebook: in molti sono iscritti da entrambe le parti, ma essendo due luoghi profondamente diversi, è frequente trovare persone che si sentano a proprio agio (e che quindi recitino un ruolo attivo) solo in uno dei due. È chiaro quindi che la casa editrice che snobba Twitter non possa arrivare ad un certo tipo di utenza, fra l’altro mediamente più “attenta” di quella del social di Zuckerberg. Questa “attenzione”, porta a far arrivare su Twitter – con la velocità che contraddistingue questo social media – notizie e opinioni anche da angoli della rete meno battuti. Insomma, se stai solo su Facebook o Anobi ti perdi un sacco di roba buona, o, se ti arriva, ti arriva dopo.
@akaOnir - Twitter è il social media che più di ogni altro pone al centro la parola, il binomio col mondo dell’editoria suona quindi bene già da principio. Inoltre gli utenti che lo utilizzano sono diversi da quelli del rivale Facebook: in molti sono iscritti da entrambe le parti, ma essendo due luoghi profondamente diversi, è frequente trovare persone che si sentano a proprio agio (e che quindi recitino un ruolo attivo) solo in uno dei due. È chiaro quindi che la casa editrice che snobba Twitter non possa arrivare ad un certo tipo di utenza, fra l’altro mediamente più “attenta” di quella del social di Zuckerberg. Questa “attenzione”, porta a far arrivare su Twitter – con la velocità che contraddistingue questo social media – notizie e opinioni anche da angoli della rete meno battuti. Insomma, se stai solo su Facebook o Anobi ti perdi un sacco di roba buona, o, se ti arriva, ti arriva dopo.
@artNite - QUANTO Twitter è utile nell’attività promozionale di una casa editrice?
@akaOnir - La promozione per via diretta (tipo: “domani esce Zagreb
di Arturo
Robertazzi. L’autore presenterà il suo libro a Pisa”) va fatta:
informare gli utenti delle uscite editoriali e delle attività della casa
editrice, in maniera scarna e senza tanti fronzoli, è la funzione
primaria di Twitter, tanto ovvia quanto imprescindibile. Detto questo
penso che alla lunga paghi di più la promozione indiretta e “lenta”,
fatta di tweet che conquistino la fiducia e la simpatia del lettore e
che magari lo avvicinino ad un determinato libro per vie traverse.
Fidelizzare l’utente rimane un imperativo validissimo.
Più in generale, reputo che un profilo di un editore serio e innovativo
debba andare oltre l’attività promozionale in senso stretto e cercare
di divenire un riferimento culturale a 360°. Un atteggiamento virtuoso
ma non certo in contrasto con la possibilità di aumentare le vendite.
@artNite - COME dovrebbe una casa editrice usare twitter?
@akaOnir - La
cosa essenziale è capire le specificità
del mezzo e non traslare in maniera pedissequa le scelte comunicative
effettuate in altri ambiti. Ciò significa in primo luogo girare a
proprio favore il limite dei 140 caratteri facendo in modo che esso si
traduca in uno sforzo creativo capace di favorire immediatezza e
originalità. Significa poi saper utilizzare gli strumenti che
contraddistinguono questo social media, gli hashtag in primis:
proporne di nuovi (e azzeccati) o anche usare bene quelli già
esistenti, permette di incidere nelle discussioni, ampliare
esponenzialmente in numero dei lettori dei propri tweet e trasformare
Twitter in un motore di ricerca in tempo reale. Reputo inoltre che un
modo particolarmente virtuoso di usare gli hashtag consista
nell’associare ad eventi di strettissima attualità (e al loro relativo
hashtag) citazioni aforistiche che si colleghino per vie oblique a tali
eventi: per una casa editrice infilare in un tweet una frase di un libro
del proprio catalogo che funga da commento ad un accadimento in corso o
a un dibattito appena apertosi è una maniera intelligente di dimostrare
la vitalità e la freschezza del libro in questione. Del resto è
l’aforisma in sé ad essere adattissimo a Twitter, basta non
esagerare altrimenti si corre il rischio di intasare le time-line altrui
e irritare qualche follower.
Più in generale, la tendenza a sfornare tweet e retweet a ripetizione è
diffusa e può essere tollerata (perfino auspicabile) se e solo se la
“produzione” viene distribuita nell’arco della giornata e non
concentrata in poche ore (a volte minuti!) di tweettaggio e ritwettaggio
matto e disperatissimo. Per il resto,
piuttosto che seguire improbabili decaloghi su come si dovrebbe
twittare, spesso infarciti di banali strategie di marketing, suggerisco
di spulciare il profilo di Einaudi, che alcune di queste
strategie convenzionali le ignora o addirittura le sovverte: se può
essere legittimo coltivare dubbi sul fatto che sia tutt’ora la migliore
casa editrice italiana, è invece insindacabile (!) che si tratti di
quella capace di muoversi in maniera più efficace e creativa su Twitter.
Con la riuscita trovata del bot, @EinaudiEditore,
un artigiano digitale che cura ogni singolo messaggio che scrive,
ironizza con i profili che se bot non sono, riescono nell’impresa di
sembrare tali vista la maniera meccanica e ripetitiva con cui twittano. Altro aspetto decisivo riguarda l’interazione con gli utenti:
la casa editrice che segue pochissimi profili e che non replica mai ai
tweet in cui è menzionata perde in partenza e tradisce l’essenza di
questo mezzo. Lodato sia l'editore che risponde quando viene
chiamato in causa e che magari commenta anche i tweet che non lo
coinvolgono direttamente ma che gli “interessano”. Ovviamente anche in
questo caso c’è un limite: ancora peggio della modalità «interazione
zero» c’è quella che si può chiamare «simulacro di partecipazione», consistente
nel seguire tutti coloro che ti seguono o addirittura aggiungere random
nuovi profili solo sperando di essere ricambiati, atteggiamento che
spesso si abbina alla fastidiosa tendenza di ringraziare a destra e
manca per ogni retweet o complimento ricevuto, riempiendo i propri
messaggi di punti esclamativi accomodanti. Pure qui il bot,
alternativamente (a volte anche contemporaneamente) gentile e pungente,
insegna. Anche se a volte perde la brocca pure lui.
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